'Non approvate quella legge: mio figlio non avrebbe avuto giustizia'
2 giugno 2010
La mamma di Adrovandi contro il Dll intercettazioni.“Senza libertà d’informazione mio figlio non avrebbe mai avuto giustizia”. Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi raccoglie l’appello di Ilaria Cucchi. Famigliari di ragazzi morti per mano dello Stato, che allo Stato chiedono di non approvare la legge sulle intercettazioni. Federico Aldrovandi fu fermato dalla polizia a Ferrara la notte del 25 settembre 2005 e morì per le percosse subite. Aveva 18 anni. Per quella morte quattro poliziotti sono stati condannati nel luglio dello scorso anno; altri tre all’inizio di marzo sono stati giudicati colpevoli di aver tentato di depistare le indagini. Una giustizia resa possibile anche dalla pubblicazione della foto, che ritrae il corpo senza vita del ragazzo in una pozza di sangue.
Come quella della schiena spezzata di Stefano, come i video del pestaggio subito daStefano Gugliotta fuori dall’Olimpico: senza quelle immagini, che la stampa ha diffuso, nessuno saprebbe. “All’inizio avemmo molte difficoltà con la stampa locale – racconta Patrizia Moretti, che ieri ha deciso di unirsi al grido di allarme di Ilaria Cucchi – I piccoli quotidiani lavorano a stretto contatto con la Questura, non hanno la forza necessaria per indagare contro una propria fonte. E, anche volendo, si trovavano di fronte ad un muro di gomma”. Per fortuna, allora, intervenne la stampa nazionale, che pubblicò la foto e denunciò quel pestaggio. “Prima grazie a internet – prosegue Patrizia – poi con i grandi quotidiani, l’inchiesta sulla morte di mio figlio ha portato a risultati concreti. Lo stesso giudice ha riconosciuto l’importanza del lavoro dei giornalisti. Se fosse stato in vigore il disegno di legge sulle intercettazioni, nessuno avrebbe potuto pubblicare nulla e Federico sarebbe morto senza un colpevole”.
Mettere il bavaglio alla stampa significa non far conoscere storie come quelle di Federico, Stefano, Riccardo Rasman, Giuseppe Uva. E quindi rischiare di non avere mai giustizia. “Non si può parlare di tutela della privacy – spiega ancora Patrizia – è solo un problema di diritti e di giustizia. Io so per certo di essere stata intercettata, ma non me ne importa nulla. Così come alla maggior parte delle persone normali. Chi non ha niente da nascondere non teme di essere ascoltato. I politici, poi, dovrebbero essere talmente puliti da non avere paura di nulla. Invece temo che in molti abbiano la coda di paglia”. Le foto sono servite anche a smuovere le coscienze, a risvegliare l’opinione pubblica: “Uno scatto è la pura realtà, e supera qualsiasi versione ufficiale dei fatti. Le persone devono sapere, perchè anche questo contribuisce ad avere giustizia”, conclude la mamma di Federico, che il 18 maggio dovrà rispondere di diffamazione davanti a un giudice di Mantova: per l’ennesima volta è stata querelata per aver definito “delinquenti” i responsabili della morte di suo figlio. Lei e Ilaria Cucchi si sono conosciute a Ferrara, quando la famiglia di Stefano ha conferito l’incarico a Fabio Anselmo, lo stesso legale che ha seguito la famiglia Aldrovandi. Le due donne sono sempre state vicine, in una battaglia che ha molti punti in comune. “Ci siamo accorti sulla nostra pelle che, per costringere a fare le indagini, è necessario mostrare gli atti alla stampa”, racconta Ilaria. Che è in attesa di sapere se i presunti responsabili delle lesioni e dell’abbandono che hanno portato alla morte di suo fratello (fermato per droga, finito in ospedale dopo essere stato picchiato e morto dopo sei giorni di agonia), verranno rinviati a giudizio. “Ora bisogna farsi sentire – prosegue – Io, da persona che non mastica la politica, non capisco il senso di questa legge: non solo non ce ne sarebbe bisogno, ma sarebbe anche dannosa. Servirebbe a tutelare non gli interessi di chi ha subito abusi, ma quelli di chi ha qualcosa da insabbiare”. Ilaria sa che questa battaglia non le ridarà Stefano, ma spera che serva ad evitare che il suo calvario tocchi anche ad altre persone.
Federico Aldrovandi
da Il Fatto Quotidiano del 2 giugno 2010
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